Canada e legalizzazione della cannabis

 

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21 Mar 2021

La professoressa Line Beauchesne insegna criminologia all’università di Ottawa dove da 30 anni si occupa di droga e giustizia penale. Nel libro: «La legalizzazione della cannabis in Canada: fra commercializzazione e proibizionismo 2.0» Beauchesne, racconta le dinamiche politiche precedenti alla legalizzazione della cannabis in Canada. Oggi per Soft Secrets approfondisce dettagliatamente tutti gli aspetti implicati da un emergente mercato legale: produzione, tassazione, distribuzione, acquisto, vendita, il mercato terapeutico ed nuovi segmenti di mercato.

Legalizzazione cannabis in Canada: “Comprare ovunque ma consumare in nessun luogo. “

Soprattutto, la professoressa Beauchense ci ricorda che legalizzare la cannabis, senza comprendere che il consumo ricreativo e quello medico spesso si sovrappongono, invece di liberare i consumatori da un odioso stigma, potrebbe concorrere a riformulare gli schemi del proibizionismo in maniera inedita ed anzi controproducente.

 SSIT: Professoressa Beauchesne, a due anni dalla legalizzazione delle cannabis in Canada, può spiegarci quali sono i diritti dei canadesi che consumano questa pianta?

Tutti i canadesi con più di 18 anni possono acquistare cannabis. In pubblico è legale detenere sino a 30 grammi. Presso il proprio domicilio solo due Province hanno stabilito dei limiti: 150 grammi in Quebec ed 1 chilo nella Colombia Britannica [Ndr. Le Province canadesi corrispondono alle nostre Regioni]. È permessa la coltivazione di cannabis con un massimo quattro piante per abitazione. La polizia, comunque, non cerca i produttori per uso personale, ma quelli che rivendono. Quando non ci sono sospetti i poliziotti non vengono a controllare che le piante siano effettivamente quattro. Al contrario, però, nei contratti di affitto spesso si specifica che non sia permesso coltivare cannabis. Quindi se le forze dell’ordine possono chiudere un occhio questo non è garantito dai proprietari delle case affittate. In generale vige un grande paradosso, quello che si permette di comprare cannabis, ma si proibisce di consumarla in pubblico e spesso anche in privato.

SSIT: Nel suo paese le principali motivazioni per le quali si consuma cannabis terapeutica sono il miglioramento del sonno, lo sviluppo dell’appetito e la riduzione dell’ansia. Tre motivazioni che hanno una relazione diretta con il benessere delle persone, inteso come piacere di vivere. Nel suo libro lei spiega che in Canada il ruolo di questo piacere è stato omesso dal dibattito precedente la legalizzazione della cannabis. Per quale motivo?

Al momento di permettere il consumo di cannabis per finalità terapeutiche e sotto controllo medico, tutti i paesi, con l’esclusione di Uruguay ed Alaska, erano in una situazione al di fuori della quale da un lato tale consumo era proibito, ma dall’altro esistevano forti movimenti a favore della legalizzazione generale della cannabis. Anche se si parlava dello stesso prodotto, c’era la necessità di poter distinguere le finalità d’utilizzo separando, di fatto, quello che veniva permesso in quanto lecito da quello che veniva proibito in quanto non lecito. I legislatori hanno dovuto dire esplicitamente che il consumo terapeutico era legittimo perché sotto controllo medico e per motivi di salute, al contrario, l’altro tipo di consumo, quello era esclusivamente “ricreativo” e quindi non legittimo. Il Governo, comunque, non è andato troppo lontano a cercare questa terminologia: durante i processi e nelle aule dei tribunali, infatti, gli stessi pazienti che desideravano utilizzare cannabis per motivi terapeutici, affermavano di differenziarsi dai consumatori “ricreativi”, perché loro consumavano cannabis per motivi di salute. Quindi sono stati i pazienti a fare questa distinzione, ripresa semplicemente in seguito dal Governo.

SSIT: Nel concreto, esistono differenze fra queste due tipologie di consumatori?

Ad eccezione dei casi dove i problemi di salute sono molto gravi e dove il paziente segue terapie intensive e sotto stretto controllo medico, non esiste una vera differenza fra i due consumatori e quindi fra i due mercati. Parliamo di persone che perseguono il proprio benessere. Alcune preferiscono avere un accompagnamento medico, altre invece seguono un percorso di automedicazione, altre ancora, consumano per divertirsi, ma dire che chi lo fa per quest’ultimo motivo lo faccia esclusivamente per il piacere, un aspetto che nel consumo medico non è presente, è falso. Perché se stiamo male e dopo avere consumato cannabis ci sentiamo bene, proviamo piacere. La frontiera è quindi molto sottile.

SSIT: Visto che la maggior parte dei produttori di cannabis ricreativa sono gli stessi che producevano per il mercato medico, quali sono le differenze fra la cannabis terapeutica e quella in vendita libera?

Alcuni prodotti del mercato terapeutico non sono disponibili in vendita libera semplicemente perché non hanno mercato. Penso, ad esempio, alle supposte alla cannabis o ad altri prodotti, molto specifici dal punto di vista della somministrazione che, normalmente, sono riservati ai bambini nel mercato terapeutico. Direi che la differenza è un po’ la stessa che riguarda i farmaci: ci sono quelli che hanno bisogno di una prescrizione e quelli che sono liberamente accessibili. Ma la maggioranza dei prodotti sono gli stessi nei due mercati.

SSIT: Di fatto l’industria della produzione per il mercato ricreativo è stata monopolizzata dai produttori già attivi sul mercato terapeutico. Come si è arrivati a questa situazione? Perché il Governo Federale ha favorito i produttori industriali a scapito dei piccoli produttori agricoli?

Il Governo non ha escluso questi produttori, ma allo stesso tempo bisogna comprendere che il mercato terapeutico è stato messo in funzione a forza di sentenze di tribunali ed allora le condizioni d’accesso erano molto restrittive. L’industria terapeutica si è sviluppata, lo si dimentica spesso, sotto il Governo dell’epoca che era conservatore. Si era nel 2013 e visto che i pazienti non avevano accesso alla cannabis e che il Ministero della Salute veniva condannato dai Tribunali si decise di occuparsi del problema. Vennero messe delle regole, si scelse di autorizzare solo coltivazioni indoor e di praticare rigide verifiche sulla qualità del prodotto. Le società produttrici subirono controlli severi affinché i loro prodotti fossero sicuri e con dosaggi stabili. Il problema è stato che solo le società più solide, con milioni e milioni di dollari, avevano i requisiti per rispondere a tutte queste norme. Alla fine dell’anno, tra l’altro, per paura che trasmigrassero sul mercato nero, la cannabis non venduta veniva distrutta.

SSIT: Quindi, quando il Governo ha deciso di legalizzare totalmente la cannabis, cosa è successo?

Quando nel 2015, il governo liberale ha annunciato di voler legalizzare la cannabis in Canada, queste società sono andate a visitarne gli esponenti, facendo leva sul loro know how e proponendo d’ingrandire le proprie installazioni e di smettere di gettare il prodotto non venduto, per immagazzinarlo e rivenderlo successivamente con i dovuti permessi per il nuovo mercato. Il Governo ha risposto positivamente accordando loro, in automatico, un permesso per il nuovo mercato. Nei mesi precedenti alla legalizzazione della cannabis qui in Canada quindi (la legge è passata a giugno ed entrata in vigore ad ottobre) si potevano domandare i permessi, solo che le Province dovevano rifornirsi rapidamente, visto che sarebbe dovuta partire la vendita online, ed hanno stretto accordi con queste grandi società che avevano già in disponibilità un prodotto ad ottimi prezzi. La concorrenza di fatto era impossibile. Quindi queste società si sono accaparrate, de facto, anche il mercato per la vendita libera. Tutto alla luce del sole.

SSIT: Come valuta questo procedere del Governo alla luce di quel che è successo?

L’idea del Governo era quella di sostenere attivamente lo sviluppo di un’industria nazionale nello scenario di una concorrenza mondiale incredibile. Il problema è stato la valutazione naif del mercato della cannabis una volta legalizzata. Le ditte pensavano che la vendita libera avrebbe fatto guadagnare milioni e milioni di dollari e quindi si sono quotate in borsa sfruttando questo denaro per posizionarsi sul mercato globale. Ma il denaro previsto dalla vendita libera in Canada non è arrivato perché il mercato legale non è lo specchio del mercato illegale. Queste compagnie si aspettavano che da un giorno all’altro i canadesi si precipitassero nei negozi di cannabis, cosa che al contrario non è avvenuta.

SSIT: Per quale motivo?

Primo perché i prezzi, nonostante gli sforzi governativi, erano ancora abbastanza elevati. E questo perché i produttori cercavano di rientrare dei grossi investimenti e, non conoscendo ancora con certezza i gusti dei clienti, non producevano su grande scala. Secondo motivo perché gran parte del pubblico, per la paura di un eventuale gestione non discreta delle informazioni personali, ha evitato di comprare cannabis online, tramite la carta di credito, ed ha preferito aspettare l’apertura di un negozio nella propria zona. I negozi fisici, però, venivano aperti lentamente perché i comuni spesso non ne volevano sul proprio territorio. Terzo e ultimo motivo, in Canada non esiste un turismo che sfrutti questo nuovo mercato anche perché non è permesso fare pubblicità e non esistono luoghi di consumo pubblico modello olandese. Aggiungiamo che poi è arrivato il Covid…

SSIT: Quali conseguenze hanno avuto queste criticità sul mercato?

I magazzini delle società produttrici strabordavano di cannabis invenduta. Infatti i trasformatori, la parte della filiera autorizzata ad imballare ed etichettare, per preparare il consumatore a conoscere il prodotto, vedendo la reazione del mercato, non compravano i raccolti ai produttori. Così molti investitori iniziali hanno cominciato a ritirare il proprio sostegno finanziario. Per questa ragione abbiamo stimato che durante questi due anni, solo un terzo del mercato illegale sia passato alla legalità.

SSIT: Cosa si è deciso di fare per correggere il tiro?

A partire dall’inizio del 2020, è stata messa in commercio cannabis con prezzo simile a quello del mercato nero. Poi si è cominciato a comprendere il mercato legale. Ad esempio, un segmento del mercato che comincia a crescere è quello degli adulti di 50 e 60 anni che rappresentano una clientela diversa e che si concentra su prodotti non da fumo, ma piuttosto su compresse, capsule, estratti e vaporizzatori sublinguali per dormire, per mangiare e per diminuire il dolore. Stiamo constatando che, visto che sui prodotti sono indicati i tassi dei cannabinoidi presenti e visto che il personale di questi negozi è altamente specializzato, questa nuova clientela non compra cannabis per divertirsi, ma piuttosto per una sorta di automedicazione, per rilassarsi, per ridurre lo stress e l’ansia e per stare meglio in generale. Per questo motivo, in attesa che il grande pubblico prenda maggiore consapevolezza di questi prodotti, la mia ipotesi è che la parte sostenibile del mercato sarà quella terapeutica, prescritta o no.

SSIT: Ci ha detto che il mercato legale non è e non sarà lo specchio di quello legale. Cosa intende?

É lo stesso fenomeno che si è notato negli Stati Uniti con la fine del proibizionismo dell’alcol. Durante il proibizionismo non esisteva la birra a 5% né le microbrasserie artigianali. Quello che si trovava era alcol al 90% o alcol adulterato e la gente pensava che quello fosse l’alcol. Invece sbagliava: quello era l’alcol in un mercato illegale. Allo stesso modo la gente fuma cannabis, ma fumare è una maniera di consumare propria del mercato illegale. Esistono molte altre maniere di consumare, ad esempio, negli Stati Uniti il fumo di cannabis è diventato minoritario rispetto ad altre forme di consumo come i vaporizzatori sub linguali, ormai molto popolari, le creme topiche oppure gli olii che si possono vaporizzare sugli alimenti. Sono tutte modalità di consumo che andranno diversificandosi in maniera maggiore e che non erano sfruttate né esplorate a causa dell’illegalità. È strano ricordarsi che qui in Canada, nei dibattiti precedenti alla legalizzazione della cannabis, si temeva che ci sarebbero stati solo i fumatori.

SSIT: Tornando alla regolamentazione del mercato, come è stata regolata la tassazione?

La produzione è regolata secondo il modello dell’alcol, a livello federale e con un accise sulla produzione proporzionale al contenuto di THC. Per quel che riguarda la tassazione sulla vendita è amministrata dalle Provincie. Per i primi due anni, il Governo federale temeva una tassazione locale troppo importante, con la conseguenza di vendere cannabis troppo cara rispetto alla concorrenza del mercato nero, e quindi ha fatto un accordo con le Province. È stata concordata una tassazione locale non troppo elevata ed in cambio il Governo ha attribuito alle Provincie il 75 % delle imposte sulla produzione.

SSIT: Come è organizzata la distribuzione e vendita al pubblico finale?

Se il sistema di controllo della produzione è federale, quello relativo alla distribuzione e vendita è centralizzato su base provinciale. Se la cannabis è venduta per motivi terapeutici, a seguito quindi di prescrizione, le compagnie che producono hanno licenza di vendere direttamente al pubblico finale. Per quel che riguarda la cannabis in vendita libera (non ha senso parlare di cannabis ricreativa visto che le persone possono farne comunque un consumo terapeutico) per motivi fiscali e di controllo qualità, i prodotti non possono essere venduti al cliente finale, ma i produttori devono venderli alle ditte con licenza di trasformazione e queste alle Provincie. Ciascuna Provincia, poi, è stata obbligata dal Governo Federale, attraverso la leva fiscale, a sviluppare un servizio di distribuzione online e, al contempo, ad approntare una serie di punti di vendita sul territorio in maniera da fornire questi prodotti tramite due modalità, la vendita online e quella locale. Il Governo Federale voleva che la cannabis in vendita libera fosse facilmente raggiungibile e garantita a tutti i cittadini, senza limiti dovuti alla residenza geografica.

SSIT: Leggendo il suo libro sembra di capire che la legalizzazione della cannabis in Canada abbia ereditato molti stereotipi proibizionisti. Perché preferisce parlare di proibizionismo 2.0?

Per fare accettare la legalizzazione della cannabis in Canada il Governo ha scelto di adottare un modello proibizionista, quello del tabacco. Il messaggio è stato: «Legalizziamo la cannabis ma non dovreste consumarla e, se proprio dovete farlo, almeno vi garantiamo che sia di qualità. Ci saranno i consumatori di cannabis, ma non li vedrete». Da noi non esiste un sistema tipo coffe shop olandesi. I proprietari di appartamenti e condomini, per la paura di nuocere alla reputazione dei loro immobili hanno scelto di diramare dei regolamenti restrittivi che proibiscono di coltivare e fumare all’interno delle abitazioni. E la stessa cosa nei quartieri residenziali. Non conosco molte persone che nei giardini interni dei loro condomini la sera si rilassino fumando un joint. Hanno ancora paura che l’odore arrivi ai vicini. Può succedere che non si abbia il diritto di fumare in casa propria, e non avendo il diritto di consumare cannabis all’aperto, ci si può trovare a dover fumare di nascosto nei sottoscala. Esattamente come prima della legalizzazione! Culturalmente siamo ancora ad un livello di proibizionismo che si riflette appunto nella regolamentazione applicata a tutti i livelli. Allo stesso tempo, se entrate in un negozio di cannabis, i commessi vi spiegheranno molto dettagliatamente e con competenza assoluta tutti i prodotti disponibili. Da questo punto di vista la cannabis è assolutamente normalizzata. Abbiamo questi due universi: puoi acquistare cannabis in un contesto molto conviviale e rilassato, ma non la puoi consumare in maniera conviviale e rilassata.


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