Storia e Origini della Dipendenza: Dalle Piante Medicinali ai Modelli Culturali di Consumo

03 Novembre 2024

Lupe Casillas

Cannabis magazine n.246 pag 116-120

L’uso umano dell’insieme di sostanze che si uniscono sotto il nome popolare di “droghe” è ancestrale e ha quasi accompagnato l’uomo fin dall’inizio dei tempi. Ma, che dire del rapporto umano con quegli usi? Quando il consumo cominciò a essere considerato patologico? Quando è nata ufficialmente la dipendenza?

Farmaci (esclusi quelli comunemente usati detti “sintetici”, più recenti) erano, prima delle droghe, delle piante e dei funghi.

E’ l’uomo che li ha riuniti tutti in un gruppo, omogeneizzati e dato loro questo nome, pieno di connotazioni negative, che  hanno più a che fare con il modo umano di relazionarsi con questi piante e funghi e con la visione soggettiva di essi, che con la sua stessa natura. È innegabile che gli esseri umani siano stati imparentati con piante e funghi che chiamiamo droghe, quasi dagli albori della loro esistenza.

Le prove archeologiche scoperte

Numerosi reperti e siti dimostrano che la relazione tra uomo e droghe risale alla Preistoria e l’archeologia ci fornisce numerose prove certe del consumo di droghe. Ancora non conosciamo molti segreti. Oggi torniamo indietro per comprendere la natura del rapporto umano con queste sostanze e per osservare il momento ed il modo “ in cui è nata la medicina delle dipendenze. Possiamo supporre che già nella la preistoria, l’essere umano avesse raccolto tutte le informazioni possibili sulla farmacologica naturale.

Le piante che lo circondano – La grande farmacia della natura

La storia dell’uomo ha ancora molti misteri da svelare, sebbene possiamo affermare che la nostra conoscenza a riguardo non fa altro che arricchirsi costantemente. Dalle prove archeologiche sappiamo che nella Preistoria ha avuto luogo uno dei momenti decisivi della nostra storia, in cui l’uomo passò dall’essere un nomade a stabilirsi in un posto fisso. Questo cambiamento di vita fu determinante per la nascita dell’agricoltura e l’inizio dell’allevamento di bestiame. Fino a quando l’uomo non ha iniziato a lavorare con piante ed animali non ha potuto smettere di vagare in giro per il mondo in cerca di cibo e provviste. Decisamente, questo è stato uno dei grandi passi compiuti dall’umanità nella nostra evoluzione come specie, dove la conoscenza del mondo naturale e le piante erano vitali. Grazie alla sopravvivenza di alcune culture di cacciatori collezionistici (come quelli preistorici) che continuano ancora oggi mantenendo il loro stile di vita (i Boscimani del Kalahari, gli aborigeni australiani, o le tribù dell’Amazzonia), dobbiamo supporre che, già nella Preistoria, l’essere umano avesse raccolto tutte le possibili informazioni farmacologiche in merito alle piante che lo circondavano. Forse l’uso più antico di piante e sostanze (o farmaci) ottenuti da essi sono sempre stati medicinali. Una prova di tutto questo fu la scoperta fatta nel 1991 sulle Alpi, del cadavere di un pastore neolitico che era stato abbandonato sepolto sotto il ghiaccio più di cinquemila anni fa. Ötzi1 fu il nome con cui fu battezzato il pastore del 3300-3200 A.C.

Accanto a lui, oltre ad un’ascia e ad alcune frecce, hanno trovato una specie di valigetta di pelle e persino dei pezzi di fungo di betulla, che sembrava infilzato in strisce di pelle. Si stima che tali funghi siano stati parte dell’armadietto dei medicinali del pastore, e forse venivano usati con lo scopo di fermare la perdita di sangue o prevenire l’infezione. Ötzi appariva tatuato, con una croce sul ginocchio, che è considerato un rimedio per curare l’artrite. Senza dubbio, Ötzi non possedeva una conoscenza scientifica sulle sue medicine ma aveva sicuramente la comprensione della dimensione curativa e terapeutica di ciò che gli era accessibile in natura. Allo stesso modo, se andiamo avanti nel tempo e guardiamo all’antica Grecia, possiamo già trovare scritti che trattano l’aspetto medicinale delle piante. Omero, senza andare oltre, nella sua popolare Odissea, scritta nel sec VIII a. C., si riferisce ad un farmaco chiamato Nepenthes con quello con cui Elena di Troia cerca di calmare l’afflizione di Telemaco. La droga, che la donna mescolava al vino, era successivamente identificato da Diodoro di Sicilia (I secolo a.C.). Per quest’ultimo la conoscenza della droga da parte di Omero si situa come la prova inconfutabile del suo viaggio in Egitto: inoltre vi sono anche altri segni del soggiorno di Omero. Sembra che egli abbia esaminato attentamente il Nepenthes, che Il poeta afferma che Elena prese a Tebe, “Gli egiziani […] anche adesso, le loro donne usano il suddetto potere e affermarlo, solo tra i Diospolitani (Tebani) il rimedio contro l’ira e dolore fin dai tempi antichi”.

Persone del Neolitico e persone dei tempi più’ antichi conoscevano ampiamente alcuni dei benefici offerti dalla natura. La natura è, come si suol dire, la più grande e più accessibile farmacia, con la quale gli esseri umani continuano a relazionarsi per tutta la loro esistenza.

Più tardi, durante il Medioevo, i copisti sarebbero stati incaricati di salvare e trascrivere questa conoscenza della natura attraverso i loro manoscritti. Tuttavia, l’ interesse dell’uomo per determinate piante o funghi non è mai stato solo medicinale.

Modelli di consumo culturale

Tralasciando il beneficio medicinale che si può ottenere da alcune sostanze naturali definite droghe, bisogna sottolineare che queste sostanze sono anche tra i principali modelli culturali di consumo sia in un ambito di uso religioso che ricreativo (quest’ultimo più difficile da monitorare).

Uno degli esempi più antichi del culto verso certe sostanze ovvero del suo uso magico-religioso, è rappresentato dal Soma, presente in India molto prima di Cristo. Come ci dice Robert Bedrosian: “Soma era un dio, una pianta e una bevanda inebriante. Si fa riferimento ad questa sostanza in ben 120 dei 1028 versi dell’Hindu Rig Veda (secondo millennio a.C).

Quella pianta e bevanda, la cui natura è stata sconosciuto per molto tempo, è stata di recente identificata da Robert Gordon Wasson nel Soma: il fungo divino dell’immortalità, come il fungo psicoattivo Amanita Muscaria. La mancanza di informazioni sulla natura del Soma trova giustificazione, ci dice Wasson, nel suo uso religioso; e la conoscenza della sostanza era un’informazione lasciata in eredità solo a pochi privilegiati: “Tra gli ariani erano solo i bramini a conoscenza del segreto del Soma; solo loro sapevano come fare il preparato e come andava bevuto”. Da allora l’ipotesi di Wasson ha continuato a guadagnare seguaci, essendo quella con la maggiore accettazione.

Si e’ voluto vedere anche la presenza del Soma nella tradizione iraniana, sotto il nome di Haoma, come Bedrosian sostiene: “Haoma era il suo omologo iraniano, non ci sono dubbi sul fatto che le sostanze fossero simili. In India e Iran, ad un certo punto la vera identità di Soma/Haoma è stata dimenticata. È stato suggerito che l’abbandono dell’enteogeno divino e la sua sostituzione con altre sostanze o riti sia avvenuto perché la sostanza originaria non era più disponibile o era difficile da ottenere. Ciò aiuterebbe a capire come, come difende Joseph Wohlberg, il culto del Soma si trasforma e venga sostituito dal culto di Dioniso (Bacco,per i Romani): “Prova del culto di Haom/Soma (analcolico) in Iran e India […] possono essere trovate in Grecia e nei paesi vicini. Mentre I popoli iraniano e indù hanno conservato il loro culto originale nel loro insieme finale, le tribù indoeuropee, inclusi i Traci, Frigi e Greci, dopo essersi stabiliti in Europa e in Asia Minore abbandonarono il culto ancestrale di Soma (Sabazios) e lo sostituirono con il semitico (alcolico) Dioniso. Tuttavia, conservarono tracce del culto originario del Soma nei rituali dionisiaci. Questo culto dionisiaco modificato si diffuse in tutto il mondo “ Occidentale”.

Una storia di dipendenza

Proprio come il consumo di droghe ha accompagnato l’uomo fin dall’antichità, abbiamo anche testimonianze che la storia della dipendenza ha radici lunghe. Come spiega Crocq, “modelli anormali di consumo di sostanze sono stati descritti fin dall’antichità”. Un esempio lampante è quello legato all’alcolismo fetale. Sin dalla Bibbia, la gente parla del danno che accadrà con lo sviluppo del feto relazionato con il consumo materno di alcol durante la gravidanza. La futura madre di Sansone, colui che aveva la forza nei capelli, fu informata del figlio che avrebbe partorito grazie al messaggio di un angelo che anche la avvertì dell’alcol: “Concepirai e partorirai un figlio E ora stai attento a non bere vino ne bevande inebrianti né mangiare nulla di impuro” (Giudici, 13, 7). Il Corano mette in guardia anche dai pericoli della dipendenza diverse sostanze (tabacco, alcol, morfina…) e perfino a certi tipi di comportamento, come il gioco e gli avvertimenti sono sorprendentemente raccolti insieme nella stessa sura (2, 219). Il medico romano Celso (ca. 25) fece un ulteriore passo avanti. (A. C.-50 d. C.) affermando che la dipendenza dellle bevande inebrianti erano una malattia (Crocq, 2007). Tuttavia, la nascita della medicina delle dipendenze viene molto comunemente associata ai teologi calvinisti, poiché offrivano spiegazioni concrete al fenomeno del bere compulsivo, che furono successivamente accettate dalla comunità medica. Di conseguenza gli argomenti basati sulla teologia furono adottati da alcuni medici per spiegare la perdita di controllo su diversi tipi di comportamento. Forse ricorderete il famoso dipinto di Rembrandt, “Lezione di anatomia del dottor Nicolaes Tulp” (1632). Tulp in persona, il medico raffigurato che diede questa lezione pubblica, difese questa tesi nel terzo volume che pubblicò, il suo Observationum Medicarum (1641). Bisognerà però attendere il XVIII secolo per assistere nel riconoscimento del potenziale di dipendenza di determinate sostanze. Questo è quello che è successo con l’oppio Cina. Quando il numero dei consumatori aumento’ rapidamente e la dipendenza cominciò a essere vista come un problema della salute pubblica, il governo cerco’ di sopprimerne la vendita e il suo utilizzo. In Europa, più dell’oppio, la dipendenza più diffusa tra le classi lavoratrici era l’alcol (Crocq, 2007).

Nel XVIII secolo nasce si sviluppa la psichiatria come disciplina scientifica che aiuta profondamente ad identificare e studiare dati ed informazioni per spiegare la dipendenza. Particolarmente importante si rivela il caso del medico statunitens Benjamin Rush. Egli fu tra i firmatari della Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti, un vero uomo impegnato per il suo paese.

Nel 1784 pubblicò un opuscolo intitolato “Un’indagine sugli effetti degli spiriti ardenti su la mente e il corpo umano”. Preoccupato per la minaccia che avrebbe significato il consumo di alcol per il nuovo stato americano, decise di scrivere questo testo dove sosteneva che “Il bere compulsivo era un atto caratterizzato da perdita di controllo su se stessi” e quella compulsione, che lui aveva riconosciuto come una malattia non era causata dal consumatore ma dalla bevanda (si riferiva solo all’alcool ad alta gradazione, non al vino o alla birra).

Pochi anni dopo, alla fine del XIX secolo, si sarebbero create le prime pubblicazioni specializzate in medicina della dipendenza, The Journal of Inebriety (Stati Uniti, 1876) e British Journal of Addiction (Inghilterra, 1884); e si inizio’ a  raccogliere dati ed informazioni sull’influenza di alcol e tè (Emil Kraepelin).

Sigmund Freud, dal canto suo, non poteva esimersi dall’approfondire il problema dell’addizione dal punto di vista della psicologia. Così, nella sua Lettera 79, Freud dice che qualsiasi dipendenza non è altro che sostituzione della dipendenza primordiale, la masturbazione: “Ho avuto l’intuizione che la masturbazione è l’unica grande abitudine che può essere definita “dipendenza primordiale”, e le altre dipendenze prendono vita solo come sostituti di quella”. Anche se questa convinzione freudiana non è valida oggi, in realtà è importante sottolineare che il suo approccio non fa distinzioni tra le dipendenze, ma sostiene che tutte le dipendenze (e anche alcuni comportamenti che non vengono considerati dipendenze) sono equiparati allo stesso denominatore e sono visti come la manifestazione dello stesso sindrome sottostante.

La dipendenza oggi

Nel 20° secolo la medicina delle dipendenze ha avuto uno sviluppo eccezionale, nutrendosi di nuove classificazioni diagnostiche, genetiche e neurobiologiche che non hanno fatto altro che arricchire la nostra conoscenza. Sebbene ogni dipendenza abbia alcune caratteristiche proprie associate alla sostanza, tutte le dipendenze condividono una proprietà comune: agiscono sul sistema di soddisfazione del cervello e lo condizionano, facendo interpretare i segnali provenienti dalla sostanza come stimoli biologicamente gratificanti o potenzialmente eccezionali paragonati al cibo o al sesso (Crocq, 2007). Non ci resta che ricordare gli insegnamenti lasciati in eredità da Pavlov (ricerca sulla cocaina) e le sue scoperte scientifiche sul condizionamento.

Tuttavia abbiamo ancora molto da indagare riguardo al  trattamento delle dipendenze. In questo senso basta fare riferimento agli studi scientifici recentemente pubblicati che indicano il potenziale terapeutico di sostanze psicoattive, come i funghi(psilocibina),  nel trattamento delle dipendenze come il fumo.

E, per quanto paradossale possa sembrarci, a volte la soluzione è più vicina di quanto immaginassimo.

La natura ha ancora molto da insegnare a chi ha voglia di osservare senza pregiudizi tutto ciò che puo’ offrire.


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