War on drugs: perchè finanziare la violazione dei diritti umani?

15 Settembre 2023

 

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Peppe Brescia

Aid for The War on Drugs, il nuovo rapporto di Harm Reduction International punta il dito sui finanziamenti a sostegno della guerra alla droga che provoca violazioni dei diritti umani.

Tramite il suo nuovo report, dal titolo Aid for the War on Drugs, Harm Reduction International analizza quelli che sono i sostegni economici ai programmi di sviluppo volti al controllo delle sostanze stupefacenti.

Prendendo in esame il decennio 2012-2021, e stabilendo un confronto fra gli stanziamenti indirizzati a progetti di stampo proibizionista e quelli riconducibili a interventi di riduzione del danno, il documento rappresenta l’ennesimo appello a una revisione delle politiche internazionali sulle droghe, nonché a una distribuzione più oculata dei fondi atti a finanziare le attività di contrasto al narcotraffico.

L’attuale sistema di controllo delle sostanze illecite, basato su un’impostazione repressiva, non solo si è dimostrato una strategia perdente, ma ha inoltre dato adito a violazioni dei diritti umani, marginalizzazione sociale e insufficienza di interventi sanitari.

Le conseguenze si riflettono sui consumatori, aggravando una condizione già difficile a causa dell’illegalità: un recente studio ha rilevato che il 58% delle persone che usano droghe per via iniettiva ha avuto un’esperienza di carcerazione – costituendo inoltre il 30% dei nuovi casi di contagio da HIV in Europa orientale e Asia centrale, mentre il 25% ha sperimentato la condizione di senzatetto.
A questo quadro è necessario aggiungere le disparità razziali, ancora in grado di giocare un ruolo di primo piano nei meccanismi di ingresso nel circuito penale.
Attualmente, sono almeno 115 gli Stati che sanzionano il possesso di droghe illecite.
La War on  Drugs, dunque, oltre a criminalizzare i consumatori, perpetua un serie di iniquità che vanno dalle incarcerazioni di massa alle eradicazioni forzate dei territori, dalla disparità di offerta dei percorsi assistenziali alle dinamiche di controllo di derivazione coloniale, infine all’utilizzo della pena di morte come strumento di deterrenza.

Nonostante gli approcci alternativi alla questione, in primis gli interventi di riduzione del danno, abbiano dimostrato nel tempo la loro efficacia, la quasi totalità degli investimenti continuano a concentrarsi in progetti dall’impianto punitivo.
Fra 2018 e 2021, i fondi a vantaggio delle pratiche di riduzione del danno hanno raggiunto appena i 25 milioni di dollari; di contro nel solo 2021, ai progetti di “controllo degli stupefacenti” è stato destinato un budget di 323 milioni di dollari. Si tratta di spese ingenti che consumano e sottraggono risorse anche ad altri ambiti di intervento: alcuni finanziamenti internazionali provengono infatti da bilanci istituiti con l’intento di porre fine alla povertà e raggiungere obiettivi di sviluppo globale. Per esempio, i contributi ai progetti di alimentazione scolastica nel 2021 hanno toccato i 286 milioni di dollari, quelli in favore dei diritti dei lavoratori 198 milioni di dollari. Le uniche spese maggiori rispetto ai suddetti 323 milioni hanno a che fare con la rimozione di esplosivi e mine antiuomo (432 milioni di dollari) e con la cooperazione internazionale in operazione di pace (373 milioni di dollari).
Secondo il Creditor Reporting System, il registro dell’OCSE che tiene conto di tali spese, fra il 2012 e il 2021 sono stati erogati almeno 974 milioni di dollari a sovvenzione di questo tipo di attività. Stati Uniti, UE, Giappone e Regno Unito i principali donatori.
68 milioni di questa somma sono stati indirizzati ai Paesi che puniscono i reati droga-correlati con la pena capitale, la quasi totalità di essi situata nel sud-est asiatico.
Fra le conseguenze più rilevanti, la mancanza di trasparenza in merito ad alcune operazioni finanziarie, così come, in particolar modo, l’ingerenza degli Stati occidentali nei confronti delle economie più povere.
Sono infatti diversi i Paesi industrializzati che sponsorizzano iniziative a livello internazionale, spesso mediante partenariati: la polizia federale australiana ha agevolato la formazione delle unità antidroga thailandesi note come Taskforce Storm, così come la British National Crime Agency ha sostenuto in Nigeria l’inasprimento della legislazione sulle droghe, supportando lo sviluppo della Nigeria National Drug Law Enforcement Agency. Gli Stati Uniti hanno nell’America Latina, Colombia su tutti, la principale zona di influenza.

Nel 2021, gli Stati Uniti hanno speso 309 milioni di dollari in programmi per il controllo dei narcotici: un aumento significativo, considerando la somma di 31 milioni stanziata nel 2020.
Ad ogni modo, tale cifra rappresenta meno di un terzo del miliardo che gli USA erogano annualmente in ambito internazionale. Il volume economico di queste attività è tale da compromettere in parte anche altre operazioni, finanziate dagli USA stessi, basate invece sulla riduzione del danno e in opposizione a stigma e discriminazione.
Nel decennio preso in analisi, attraverso l’European Development Fund, l’Europa ha destinato a numerosi Stati africani centro-meridionali 61 milioni di dollari da investire in attività di controllo e repressione.
La spesa da parte del Regno Unito si è invece progressivamente azzerata, passando dai dieci milioni di dollari nel 2012 a zero nel 2021. Nonostante ciò, appare non chiaro il modo in cui siano stati spesi gli aiuti internazionali, in particolare in luoghi come Perù, Mozambico, Repubblica Dominicana e Bolivia.

Il sistema proibizionista ostruisce dunque gli impegni siglati a livello globale a tutela della salute pubblica, come nel caso del Sustainable Development Goals dell’ONU o del 2021-2026 Global AIDS Strategy da parte dell’UNAIDS, documenti caratterizzati dalla sollecitazione di porre fine alla criminalizzazione del possesso di sostanze illegali.
Un potenziale fattore di preoccupazione riguarda inoltre l’inclusione delle attività e delle spese proibizioniste all’interno dei cosiddetti “global public goods”, ovvero gli studi incentrati sul sostegno ai beni pubblici globali, e delle nuove misurazioni dello sviluppo della spesa nazionale.
Il novero di donatori internazionali a favore della riduzione del danno rimane dunque limitato, con budget che sembrano assottigliarsi sempre più: fra 2016 e 2019 è stata rilevata una riduzione dei fondi di circa un terzo. Nonostante l’UNAIDS parli esplicitamente di interventi a sostegno dei Paesi a medio e basso reddito, essi sono stati stanziati per il solo 5% dei 2,7 miliardi di dollari annui preventivati entro il 2025.

Ricordando che “i governi e i donatori devono disinvestire dalle ingiuste risposte punitive e investire nella comunità, nella salute e nella giustizia. Devono investire nella riduzione del danno”, il report si chiude con una serie di raccomandazioni, illustrando il ruolo che istituzioni e società civile sono invitate ad assumere.

I donatori internazionali dovrebbero:

  • smettere di usare il denaro dei loro budget limitati per gli aiuti (che dovrebbero contribuire a porre fine alla povertà e raggiungere gli obiettivi di sviluppo globale) per attività di “controllo dei narcotici”
  • disinvestire dai regimi punitivi e proibizionisti di controllo della droga e essere più trasparenti riguardo alla spesa per attività legate alla droga, compresa la riduzione del danno (indipendentemente da quale linea di bilancio provenga questo denaro)
  • investire in iniziative di riduzione del danno basate sull’evidenza e incentrate sulla salute e sui diritti umani, in linea con lo sviluppo globale e altri impegni

La società civile e i giornalisti dovrebbero:

  • chiedere maggiore trasparenza su come viene speso il denaro degli aiuti
  • condurre ulteriori indagini approfondite su come è stato speso il denaro per il “controllo dei narcotici” in diversi paesi (compreso il modo in cui è stato giustificato, eventuali risultati dichiarati e qualsiasi impatto diretto o indiretto che potrebbe aver minato altri obiettivi o norme sugli aiuti)

I contribuenti nei paesi donatori dovrebbero:

  • richiedere integrità e trasparenza nella spesa internazionale dei propri governi, compresa quella derivante da budget limitati per gli aiuti
  • Chiedere che il sostegno dai bilanci pubblici confluisca verso misure basate sull’evidenza e incentrate sulla salute pubblica e sui diritti umani

L’OCSE dovrebbe: 

  • sollecitare e ascoltare consigli da esperti di salute e diritti umani, nonché da persone che fanno uso di droghe, sull’opportunità di rimuovere il “controllo dei narcotici” dalla loro lista di categorie di spesa idonee a essere conteggiate come aiuti
  • condurre e pubblicare una revisione approfondita di tutti gli aiuti spesi finora per il “controllo dei narcotici”, se eventuali spese hanno violato le linee guida su questa categoria e l’uso della sicurezza nazionale o altre giustificazioni da parte dei donatori per nascondere i dettagli sui progetti finanziati
  • aumentare la trasparenza di tutte le spese di aiuto attuali e precedenti, rendendo più facile l’accesso ai dati e ai dettagli dei progetti, facilitando così la responsabilità

I governi dovrebbero:

  • depenalizzare l’uso e il possesso di droga e sostenere la riduzione del danno per le persone che fanno uso di droghe e, fino ad allora, promuovere alternative all’incarcerazione basate sull’evidenza e centrate sulla salute e sui diritti umani
  • valutare criticamente la propria spesa per il controllo della droga, disinvestire dal controllo punitivo della droga e investire in programmi di riduzione del danno basati sull’evidenza
  • coinvolgere in modo significativo le comunità e la società civile nel processo decisionale finanziario e nel monitoraggio di tutte le politiche legate alla droga

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